Indagare il naufragio, più come elemento cultural-esistenziale che come mera evenienza, sembra essere stato alla base del lavoro che ha portato Claudio Rocchetti a pensare e produrre questo Memoria Istruttiva. Un disco che mette in chiaro questa specie di concept sin dal titolo, ispirato alle vicende di Vitaliano Donati (medico e viaggiatore italiano del XVIII secolo morto naufrago nel Mar delle Indie), e dall’immagine di copertina (rielaborazione di Alice Winkler di un ritratto opera di Friedrich, omaggiato dalla dedica del disco insieme a Alexander von Humboldt, altro “esploratore” di notevole fascino). Oltre a questi palesi indizi, Memoria Istruttiva (titolo tratto di peso da uno dei molti “manuali per far viaggi” d’Età Moderna) segue, poi, uno sviluppo interno, una sorta di schema che tende a ricreare alcuni dei percorsi mentali che porta(va)no all’abbandono del luogo natio per avventurarsi in territori più o meno sconosciuti ma pur sempre “altri” rispetto alle rispettive quotidianità, affrontando pericoli e alterità diffusa con occhio curioso e, parafrasando le parole di Goethe, con “quel germe latente di follia” che accompagna ogni partenza.
Ciò che Rocchetti mette in essere è dunque un album umorale, tra alti e bassi atmosferici e saliscendi emotivi che rendono appieno l’idea di spaesamento, difficoltà, pericolo ed emotività alterata che permeava l’esperienza viatoria in Età Moderna. Non è un caso, dunque, che a inaugurare l’album in Our Dying Silent Minds sia il suono di un contrabbasso che si fa quasi sirena portuale, a significare lo sgancio dalla terraferma e l’inizio di una avventura che si snoda lungo un percorso che è distacco da sé, dal quotidiano, e incontro/scontro con l’ignoto e l’alterità minacciosa e ostile. Il procedere a flutti dei droni di The Room, i field recordings di voci che appaiono “fantasmatiche” qua e là come presenze/assenze ectoplasmiche e persistenti in un non-tempo eterno, le reiterazioni sfrigolanti sub specie ambient di Arctic Shipwreck e il loro preludere alla catastrofe, non sono che momenti di un fluire unico che ci dà la misura dell’eccellente lavoro di ricerca, non solo strettamente musicale, messo in atto da Rocchetti. Giunto, se non si fosse capito, a uno dei picchi della propria produzione.